Disturbi dell'alimentazione


I disturbi del comportamento alimentare comprendono tutte quelle situazioni di disagio psicologico in cui il problema centrale sia il rapporto della persona col cibo.

Ne esistono di diversi tipi e sottotipi, ma, riassumendoli nella loro essenza, sono disturbi nei quali o si mangia troppo, o si mangia troppo poco a causa del disagio emotivo che investe il cibo e l'atto di mangiare. Questi eccessi sono così marcati che possono arrivano a deformare vistosamente il corpo della persona, a meno che non adotti delle condotte compensatorie capaci di arginare i danni.

Nonostante i manuali della salute mentale accumunino le forme di alimentazione compulsiva e l'anoressia nervosa, questi non hanno nulla a che vedere fra loro e le cause che vi sono dietro sono radicalmente diverse, così come differente deve essere l'approccio terapeutico per guarirli. In comune con ciascun approccio risolutivo è però un principio di fondo: i disturbi dell'alimentazione sono tutti disturbi della relazione, sia essa la relazione con sé stessi che quella con gli altri. Già dagli albori della psicoanalisi, ma anche da ben prima, in quelli delle tipologie costituzionali elaborate nell'antichità classica, troviamo chiaramente descritta l'associazione fra il cibo e l'atto di mangiare e le dinamiche psichiche di tipo sociale, affettivo e sessuale, ed è irreale pensare di ignorare tali aspetti nel processo terapeutico.

 

Iniziamo con l'analizzare la cosiddetta Bulimia Nervosa. I pazienti che ne soffrono vivono una dinamica molto spiacevole: avvertono l'insorgenza di un grave stato ansioso, che può seguire anche attivazioni rabbiose o depressive, sentono di non poter controllare interiormente questo malessere, e iniziano a mangiare compulsivamente tutto quello che hanno a disposizione. Lo scopo è quello di riempirsi lo stomaco il più possibile e il più rapidamente possibile, in modo da diminuire il rilascio del neuropeptide Y e di favorire quello delle endorfine, eventi biochimici che provocano un temporaneo alleviamento del disagio emotivo di partenza. Quasi subito, però, subentra un senso di disgusto verso sé stessi insieme a un senso di colpa per la propria perdita di controllo e per il comportamento degradante che si è messo in atto, stato mentale al quale seguono frequentemente le cosiddette condotte di eliminazione, ovvero tentativi di svuotarsi la pancia (vomito, lassativi) o smaltire l'eccesso calorico accumulato (ginnastica e attività fisica esasperata).

Come la pratica clinica mi ha insegnato, dietro la bulimia nervosa, infallibilmente, si cela un Disturbo Borderline della Personalità, e quindi il mio approccio terapeutico è quello di ridefinire il problema alimentare dentro un quadro più ampio di discontrollo emotivo, che diventa il vero oggetto della terapia. Infatti, l'innesco dell'attacco bulimico è proprio l'ingresso in quegli stati di vuoto angoscioso che seguono le tipiche dinamiche psichiche centrate sul tema dell'abbandono, dell'autosvalutazione e della perdita di controllo sulle proprie emozioni, e dunque la terapia dovrà centrarsi sulla risoluzione di questi. 

 

Il disturbo da Alimentazione Incontrollata consiste invece nell'assumere sistematicamente cibo in eccesso durante i pasti principali e nel mangiare spesso e volentieri, a volte continuamente, al di fuori degli stessi, con evidente aumento del peso che quasi invariabilmente porta la persona all'obesità. Mentre nella bulimia il paziente ha piena coscienza del suo comportamento patologico e ne identifica facilmente i contorni e le dinamiche emotive, in questo disturbo il soggetto manca quasi sempre di consapevolezza e, se confrontato col suo comportamento alimentare, ne sminuisce la gravità e la frequenza, spesso arrivando a negare che ci siano problemi in tal senso, attribuendo le cause del suo sovrappeso a fantomatiche anomalie metaboliche o fattori similari.

Proprio la natura fortemente egosintonica di questo disagio mentale rende la terapia non facile, e raramente il paziente chiede aiuto per risolvere questo specifico aspetto problematico. All'indagine clinica appare però evidente il bisogno inconsapevole del paziente di accumulare grasso corporeo al fine di difendersi, più esattamente di isolarsi. L'adipe, infatti, isola l'interno del corpo sia in senso termico e dunque di eccitazione emotiva, sia a livello sensoriale, sia a livello sociale, affettivo e sessuale, per ovvi motivi. Dietro l'accumulo difensivo e deformante di grasso vi è quindi sempre una personalità fragile e immatura, come spesso si riscontra nei Disturbi della Personalità Istrionico, Dipendente ed Evitante, a volte Narcisistico nella variante passivo-aggressiva; di nuovo, la terapia, per essere efficace, dovrà intervenire primariamente questi aspetti, affrontando il rapporto col cibo solo in un secondo momento.

 

Regina indiscussa dei disturbi alimentari, viene infine l'Anoressia Nervosa che, però, un disturbo alimentare non è se non nelle apparenze. Tale comportamento patologico consiste nel convincersi che le proprie forme corporee, le sensazioni interiori, l'atto di mangiare e/o il cibo stesso sono causa di grave angoscia o disgusto per la persona, la quale, di conseguenza, mangia sempre meno fino a raggiungere un dimagrimento tale da compromettere sia il funzionamento corretto del suo corpo, sia quello nervoso. L'anoressico non ha alcuna percezione della sua magrezza, anzi, vede il suo corpo sistematicamente in modo deformato, ovvero troppo grasso, e coltiva convinzioni irreali sul valore e la necessità di un'alimentazione privativa per sé stesso. L'autodistruzione del proprio corpo e delle sensazioni che genera (che in stato di denutrizione sono fortemente attenuate) viene infatti sentita come un successo dal paziente, una meta raggiunta con sforzo dalla quale non recedere mai, e dunque va da sé che il disturbo abbia caratteristiche fortemente egosintoniche e che quasi mai sia la persona che ne soffre a chiedere aiuto.

A chiunque abbia un minimo di preparazione clinica, anche solo si diletti nella lettura di libri classici della psicologia, verrà immediatamente all'occhio una serie di criteri ben noti: appiattimento affettivo, percezioni allucinatorie, convinzioni deliranti, ovvero i sintomi delle psicosi. Come i precedenti disturbi alimentari erano espressioni di sottostanti malattie della personalità, l'anoressia nervosa altro non è che una manifestazione chiara di una sindrome psicotica, in alcuni casi francamente schizofrenica, nonostante la tipologia socialmente accettata dei contenuti sintomatici non la rende evidente ai più.

Anche la dinamica familiare nella quale si trovano le persone che soffrono di anoressia nervosa è quella tipica delle famiglie psicotiche. Nella mia esperienza, uno dei genitori, tipicamente il padre, presenta chiari segni di grave disadattamento sociale e affettivo, con forme quando non propriamente psicotiche, comunque tipiche delle personalità bizzarre (schizoide, schizotipica o paranoide), mentre l'altro genitore, la madre, incapace di relazionarsi col primo, riversa la sua emotività isteroide sul povero figlio o figlia, la cui personalità viene attivamente repressa e la vita controllata in ogni minimo dettaglio, spesso all'interno di una comunicazione caratterizzata da costanti doppi messaggi (tipo: "ti voglio bene, fai quello che ti dico io"). In questo contesto di povertà affettiva e frammentazione psichica, al soggetto bersaglio non rimane che chiudersi in un mondo interiore isolato per difendersi, e la strategia del dimagrimento volto a controllare il vissuto doloroso viene quasi sempre ben vista, all'inizio, dal genitore che lo vuole maggiormente controllare. Quando poi tale dimagrimento diventa denutrizione distruttiva, il paziente sperimenta con compiacimento una modalità di controllo su di sé e di libertà che il genitore non gli può impedire, anche con valenza punitiva, che lo motiva a mantenerla all'infinito. Va da sé che la terapia per il disturbo è di tipo familiare e che non è affatto facile da svolgere senza la presa di coscienza dei conviventi del paziente e la loro piena collaborazione.