Disagio esistenziale e superamento del lutto


Non posso fare a meno di sorprendermi di stare scrivendo questa pagina forse come una delle ultime di questo sito, nonostante sia probabilmente la situazione di cui mi occupo maggiormente nella mia vita lavorativa... Dovrò rifletterci sopra. 

Sia come sia, molto spesso le persone si ritrovano, in un qualche momento della loro vita, ad affrontare periodi di perdurante sofferenza. Tali stati dolorosi sono la conseguenza dell'incapacità di adattarsi a cambiamenti inevitabili della propria vita, come la fine dell'adolescenza, la cessazione di un'attività lavorativa, l'inizio di una malattia cronica, una separazione coniugale, l'uscita di casa di figli adulti e, sopra ogni altra cosa, la morte di una persona cara.

Questi eventi comportano una frattura nel tessuto narrativo che la persona automaticamente e inconsapevolmente costruisce su di sé man mano che vive, ovvero creano un punto di svolta inaspettato e doloroso nella storia di vita che ognuno di noi si racconta. Tutti diamo per scontato che domani la giornata si ripeterà simile a oggi o che andrà comunque in accordo con le nostre aspettative; a volte, purtroppo, il destino ha in serbo per noi ben altra situazione e il mondo, senza chiederci il permesso, ci crolla addosso.

Di fronte al cambiamento drammatico in pochi accettano il nuovo corso degli eventi, si adattano alla situazione e "tengono botta" andando avanti con coraggio e riorganizzandosi; la maggior parte delle persone attraversa un periodo più o meno lungo di lutto per ciò che si è perduto, di durata assai variabile per ciascuno, da alcune settimane a molti anni.

In questo stato doloroso, di angoscioso tormento o disperazione, si attraversano diverse fasi tipiche, descritte chiaramente da Elisabeth Kubler-Ross. All'inizio la persona, scioccata, quindi spaventata, nega l'accaduto, pensa che non possa essere vero, effettua ripetuti controlli, chiede conferma del fatto ma si rifiuta di crederci, fino a trovarsi di fronte all'inconfutabile. A questo punto si arrabbia, si sente vittima di un'ingiustizia, ritiene che la vita, Dio e assimilati le abbiano fatto un torto, e sfoga il suo rancore come può, spesso maltrattando gli altri intorno a lei. Compresa l'inutilità di questa reazione, seppure carica di emozioni dolorose, la persona cerca di contenere la sua sofferenza distraendosi e attingendo al supporto degli individui disponibili a confortarla, in qualche modo cerca di equilibrare il dilagare dello stato interiore con la normalità quotidiana. Ciò nonostante, distrazioni e conforti non riescono a dare alla persona un senso profondo alla sua esistenza, che ella percepisce ora irreversibilmente danneggiata, monca, mancante di scopo; la persona perde fiducia in sé, negli altri e nel futuro e si deprime. Tale fase depressiva finisce poi se, invece, il succedersi degli eventi quotidiani, nella misura in cui la persona si è aperta a nuove opportunità di sollecitazione e crescita interiore, porta alla scoperta di poter provare nuove gratificazioni, anche proprio malgrado, e dunque di poter essere nuovamente felici, accettando il fatto che la perdita subita non ha messo termine ad una vita significativa. 

C'è da sottolineare come queste fasi, con tempistiche differenti, vengano attraversate allo stesso modo da coloro a cui muore qualcuno di importante, da una ragazza che viene tradita e abbandonata dal suo grande amore, come da un ragazzo abituato ad una vita di disimpegno e leggerezza che a un certo punto si ritrova costretto a entrare nel mondo del lavoro. Indipendentemente dalla situazione in esame, l'attraversamento delle fasi sopra descritte porta alla costruzione di un nuovo equilibrio in cui viene accettato il lutto subito, ma questo non implica la sua elaborazione e la conseguente crescita della persona che, temprata dal dolore, ha imparato a vivere la sua esistenza meglio di prima.

Al contrario, nel tempo la gente si adatta alla perdita riducendo la sua portata esistenziale, ovvero taglia fuori dalla sua esistenza quella parte della vita che ha generato la sofferenza luttuosa; chi ha sofferto per amore tende a non legarsi nuovamente, chi ha perso un lavoro importante spesso non ne cerca un altro, chi finisce un periodo appagante della propria vita raramente cerca di godere delle opportunità che una nuova fase gli offre. Per molti, la mente si riempie di rimpianti e nostalgie, spesso sostenuti da ricordi abbelliti e romanzati di un passato ormai perduto.

L'elaborazione di un lutto, di cui quasi tutti parlano senza sapere in cosa consista, è un processo introspettivo nel quale la persona comprende il significato reale che ciò che ha perso aveva per lei e riorganizza il suo mondo interno in modo che un altro oggetto possa prenderne il posto, oppure modifica la propria immagine di sé e della vita, il suo sistema di valori, così che altre esperienze possano darle maggiore equilibrio e appagamento. "Morto un Papa se ne fa un altro" è un'affermazione brutale, cinica nella sua naturalezza, che esprime però una profonda saggezza quando la si comprende a fondo. Se poi morto il Papa comprendi che puoi entrare in contatto con Dio senza intermediari, hai fatto un salto di crescita ancora più grande. Tutte le esperienze e le persone sono uniche e la loro perdita è, di per sé, irreparabile, ma la realtà è che queste mancanze divengono fonte di disagio psicologico stabile e perdurante nel tempo quando noi siamo interiormente carenti di qualcosa che riteniamo importante e che immaginiamo di poter compensare solo con quell'oggetto o situazione. Ciò che perdiamo è importante per noi perché ci protegge e ci aiuta a sopravvivere, sostiene la nostra autostima, è un tramite per l'inserimento nelle relazioni e nei gruppi, ci fa sentire completi in quanto uomo o donna, permette la nostra realizzazione personale attraverso l'incarnazione di un ruolo archetipico che abbiamo caricato di significato: genitore, coniuge, figlio devoto, seduttore, eterno giovane, potente leader, professionista affermato, servitore fedele, "influencer", riferimento spirituale e via elencando.

Elaborare il lutto vuol dire accettare che l'oggetto perduto soddisfaceva un bisogno interno che può trovare nuove forme di appagamento e che questo cambiamento è in continuità con la propria crescita personale e arricchisce la propria storia, rende interessante la propria vicenda esistenziale. Tutto è a termine, e noi non siamo fatti per stagnare in una situazione, ma per evolvere attraverso le esperienze di vita, raggiungendo equilibrio, forza e saggezza sempre maggiori.

Cristallizzare, proiettandolo in eterno nel futuro, un breve momento del presente protegge la mente dalla paura dell'ignoto e dall'ansia da prestazione, ma distorce la personalità dell'individuo e i suoi equilibri interiori. Quindi, per rimettere le persone a posto, quello che faccio in terapia è aiutare i pazienti a guardarsi dentro per comprendere le ragioni per cui sentono una perdita come dolorosa nonostante la vita sia andata avanti, e le aiuto a ricostruire e rinforzare quelle parti del Sé carenti che sono la causa della sofferenza luttuosa. Tale trasformazione terapeutica di solito riesce bene e le persone acquisiscono una leggerezza e un'apertura verso la vita che prima non avevano, con soddisfazione tanto mia quanto loro.