Come sono diventato uno sciamano nepalese (parte prima)

Cari ragazzi e ragazze,

È arrivato il momento di scrivere il consueto resoconto sulla nostra psicogita sullo sciamanesimo, che ancora mi rimugina dentro per motivi che esporrò a seguire…

L’idea di quest’ultima psicogita tenutasi qualche settimana fa è nata in primo luogo, come ho esposto nel mio ultimo post censurato da Facebook, dal fatto che ne ho gli zebedei saturi dei truffatori che vendono corsi fuffa di sciamanesimo, come corsi e seminari su qualsiasi cosa sia vagamente iscrivibile all’esoterismo. Se mai questi furfanti insegnassero alcunché, e fortunatamente non è così, annichilirebbero le due caratteristiche individuali indispensabili all’acquisizione di competenze esoteriche, ovvero la predestinazione, per nascita e per ascendenza familiare, e il merito personale, ottenuto con l’impegno nello studio e nella pratica delle dottrine sapienziali e col necessario sacrificio ascetico.

In secondo luogo, a generare di fatto l’idea di questa attività è stato un’occorrenza cosmica, ovvero l’acquisto fortuito da un trafficante di artigianato nepalese di vere maschere sciamaniche del popolo Tharu, probabilmente l’unica etnia che, almeno fino a cinquant’anni fa, quando ancora erano relegati in condizione di schiavitù e parzialmente isolati dal resto della cultura nepalese, ha conservato in parte, nonostante gli imbastardimenti causati da Induismo e Buddhismo, la religiosità animista che ha connotato le origini del pensiero metafisico dell’umanità.

È importante infatti comprendere che, al di là delle fantasie, la stragrande maggioranza dei saperi religiosi e dei rituali antichi si è persa con l’estinzione dei popoli che la praticavano o il loro perdersi in altre culture che ne hanno soppiantato le tradizioni. In forme varie, questo è accaduto per tutti, dai nativi americani a quelli meso e sudamericani, dai popoli della valle dell’Indo e quelli nordeuropei. Insomma, con l’eccezione di molte culture del centro africa e qualche scampolo indonesiano, quando vediamo persone che si cimentano in rituali animistici perlopiù li stanno reinterpretando in base a una sensibilità moderna e interculturale, e quello che fanno oggi non ha nulla a che vedere con ciò che facevano i loro antenati.

L’animismo è infatti la religione primordiale dell’umanità, precedente ai pantheon divini dell’antichità, una visione del mondo che considera ogni cosa esistente e ogni evento occorrente come risultato dell’azione di forze sovrannaturali provenienti da mondi ultraterreni, le quali si interfacciano col nostro attraverso una dimensione di confine di tipo eterico, un mondo onirico oscuro, simile all’aldilà degli antichi Greci per ancorare il concetto alla nostra cultura scolastica, che è percepibile in vario grado dal sacerdote di questa religione, lo sciamano. Questi, in seguito a predestinazione e iniziazione, è in grado di comprendere questa dimensione animica e spiritica e di interagire con essa attraverso chiaroveggenza, forza di volontà, offerte sacrificali e rituali magici di ogni sorta, al fine di aggiustare le situazioni problematiche nel mondo materiale. L’animismo è in fondo una visione gnostica del mondo dello spirito: non nega che esista una pleromatica divinità suprema, ma ritiene che non sia responsabile della natura del mondo, creato da una divinità minore e spesso moralmente peggiore di quella suprema, tantomeno tale dio ultimo interviene nelle vicende umane, determinate appunto da una pletora di spiriti parassitari.

La religione dei Tharu e le credenze che la costituiscono risalgono a oltre duemilacinquecento anni fa, e sono estremamente interessanti per noi poiché implicano un’intera cultura incentrata sullo sciamanesimo e l’animismo. Per i Tharu, infatti, ogni capofamiglia è per elezione uno sciamano capace di svolgere rituali utili alla vita quotidiana, ma fra i vari maschi di ogni famiglia può nascondersi un individuo che ha il “dono” della medianità e può essere iniziato ad uno sciamanesimo avanzato, perfezionatosi nel quale diviene in grado di guarire le malattie, proteggere i villaggi, contrattare con dèi e demoni, dialogare con spiriti di antenati e di sant’uomini della propria gente. Se è invece una donna a sviluppare la visione del “mondo di sotto”, il Patal, per la famiglia è una grave sciagura poiché diviene una strega, una Curinniya, e anche solo guardarla o toccarla può rendere l’incauto curioso maledetto per sempre; per questo motivo tali signore venivano allontanate immediatamente dai villaggi di appartenenza e condannate ad una vita di solitudine.

L’iniziazione dei giovani sciamani avveniva all’interno di una cerimonia comunitaria dove gli aspiranti, raggiunto lo stato di trance indotto da uno sciamano anziano mentre altri membri della tribù, sciamani e non, cantavano e suonavano tamburi e cimbali, incontravano Maiya, la principale divinità femminile del piccolo pantheon celeste dei Tharu, che li possedeva e parlava per mezzo della loro bocca. La possessione da parte di questa divinità poteva implicare o essere preceduta da un’esperienza di smembramento o di altro doloroso trapasso, nel quale l’aspirante sciamano vedeva sé stesso fatto a pezzi e ricomposto in modo parzialmente innaturale, con parti del corpo sostituite o integrate da elementi naturali, di origine animale o vegetale, o artificiali, di legno e metallo.

Nelle pratiche sciamaniche di quasi tutti i popoli del mondo, ad un certo stadio della trance, è facile incontrare un essere spirituale femminile, che alcuni occidentali hanno identificato anche con la Madonna. Fatto sta, il manifestarsi della suddetta Maiya come benevola e amichevole, volenterosa di parlare in rappresentanza delle altre divinità, nonché disponibile ad accogliere le offerte predisposte, ovvero acqua, latte, liquore e un pezzo di torta salata, terminava la cerimonia, che si concludeva con una piccola danza degli iniziati nel gaudio generale. Piccole incisioni sulla pelle del volto dei nuovi sciamani procuravano il sangue che avrebbe bagnato il riso con la buccia utilizzato da questo popolo in tutte le pratiche rituali di una certa rilevanza.

Per ogni maschio dei Tharu essere uno sciamano era un vanto e un onore comunitario, e diveniva per loro una missione personale superare in competenza e misticismo i propri maestri anziani. Una volta terminato l’addestramento, che comprendeva anche l’acquisizione nella padronanza della medicina tradizionale nepalese, i rituali più comuni che questi sciamani compivano nel loro villaggio, quando non decidevano di girare ramenghi in seguito all’ottenimento di un permesso speciale da parte della famiglia reale nepalese, erano divinazioni diagnostiche e di previsione del futuro, nonché esorcismi e convincimenti a ravvedersi rivolti a spiriti irati che infestavano persone, case, animali, terreni e villaggi, causando disgrazie e malattie. Tali esorcismi, oltre a una pletora di oggetti rituali fra cui il suddetto riso bagnato col sangue dello sciamano, quasi sempre implicava il sacrificio di un animale, di solito un pollo, che veniva sgozzato dopo aver assunto un ruolo centrale nella cerimonia; l’offerta della sua vita era necessaria per saziare l’entità da allontanare.

Il sacrificio di sangue, che comunque è niente rispetto ai mostruosi olocausti che richiedevano le divinità dell’antichità come gli Elhoim, fra i quali ritroviamo il sanguinario Yahweh, è importante da evidenziare in quanto ci fa capire che lo sciamanesimo primitivo, quello reale, fossero piante maestre, animali semiumani, antenati, demoni e dèi, aveva a che fare con forze tutt’altro che tenere e amichevoli il cui unico scopo di interazione con il mondo degli uomini era di usare le persone come prede alle quali suggere la linfa vitale, in un modo o nell’altro, anche in forme non dissimili da quelle utilizzare dalle entità tanto buone e tanto care che qualche nostro contemporaneo occasionalmente incontra e al quale tali spiriti allegri chiedono sempre preghiere e adorazione da rivolgere a loro.

Nella nostra psicogita abbiamo riprodotto, per quanto possibile, utilizzando oggetti rituali reali e appartenenti alla tradizione sciamanica nepalese e dei Tharu, tutti i momenti elencati sopra, fra cui la visione del Patal con i suoi spiriti inquieti e abitanti demoniaci, una divinazione rituale, l’iniziazione con tanto di esperienza di smembramento e ricomposizione da parte di Maiya, e infine un esorcismo di guarigione. Difficile per i partecipanti entrare nella mentalità, primitiva più che antica, per la quale volontà personale, libertà di scelta, la distinzione fra fisico e mentale e il senso dell’Io erano concetti inesistenti; esistevano solo gli spiriti e le loro azioni dentro e fuori dal corpo della persona, tutto il resto ne era una conseguenza, sia che intervenisse nella mente, nell’organismo o nei rapporti sociali.

Al termine di tutto, calata la sera, consumata insieme la bevanda rituale (un pregiato cent’erbe con 70° di gradazione alcolica), ho condotto una visualizzazione di gruppo nella quale ogni partecipante entrava in un suo luogo mentale primordiale, incontrava un suo animale guida (concetto estraneo ai Tharu, ma proprio di altre tradizioni sciamaniche) e risanava tramite esso una sua parte scissa e ferita. Davvero incredibili, intense e toccanti le descrizioni delle esperienze dei partecipanti, che spero vorranno riportarne qualcuna nei commenti a questo post, se mai lo leggeranno.

In questa psicogita ho fatto tutto quanto potevo per far vedere e vivere ai partecipanti la riproduzione (polli sgozzati a parte) di una vera tradizione sciamanica, e nel rivedere i video e le foto mi sono reso conto di quanto abbiamo fatto, quanto sia stato unico e bello e quanto lavoro, impegno e spesa il tutto mi è costato. Di quanto sopra sono stato davvero contento e appagato, ma già il giorno seguente ho capito che qualcosa mancava, che qualcosa si poteva aggiungere e sperimentare. Sentivo, e volevo, che dalla rappresentazione si passasse all’esperienza reale, almeno relativamente alla visione e al contatto con le dimensioni dello spirito che informano l’uomo e la natura, lasciando da parte gli esorcismi.

Da qui nasce la seconda parte di questa psicogita, e domenica 6 novembre mi recherò con un manipolo di esploratori del mondo interiore e sovrannaturale in luoghi antichi e sacri per aprire le menti e portare le persone predisposte in contatto con spiriti e dèi. Se tu che leggi non hai paura di lasciare per qualche ora le tue amate serie tv e lo sbattimento di tamburi autocostruiti per affacciarti su altre dimensioni, scrivimi e vediamo se potrò farti partecipare. Cosa accadrà, lo racconterò nella seconda parte di questo post.

Credendo, vides!

Andrea

P.S. Chi vuole vedere i video e la fotostoria completa della psicogita li trova qui