I confini del pensiero

Cari ragazzi e ragazze,

Sono già trascorsi una decina di giorni dall’ultima psico-gita, il tempo sufficiente perché i ricordi si siano strutturati e le emozioni sedimentate, intrecciandosi nella rete neurale che costituirà la traccia mnestica presente sul piano fisico della bella esperienza vissuta insieme.

Stavo riflettendo, nei giorni scorsi, sulla natura del concetto di confine, di limite, proprio del pensiero umano e dell’esperienza di noi tutti, intrecciandolo con le immagini e le sensazioni della passeggiata di domenica. Il caleidoscopio di stimoli diversi fluisce organizzandosi in quadri viventi che focalizzano ora un dettaglio, ora un altro: una ripida scarpata, una tomba semisepolta dalla vegetazione, persone che recitano su un antico altare, una donna che mi è molto cara, i discorsi che ho pronunciato, due che si baciano, i rovi e gli spini addosso dappertutto mentre avanziamo, il calore soffocante fra i noccioleti nel primo pomeriggio, gente appesa a pericolanti rami di alberi, resti di mura poligonali non troppo antiche, cielo al tramonto, respiro affannoso e cuore leggero, tanta sete, l’energia densa di un cubo di pietra nel bosco.

E dunque penso agli intrecci concettuali che accompagnano queste visioni, ovvero vita e morte, natura e opera umana, tempi antichi e presente, isolamento e compagnia, mistero insondabile e storie note, divertimento e fatica, perdersi e ritrovarsi. Mi vengono allora in mente le interpretazioni degli autori strutturalisti, che vogliono il pensiero costituito da invarianti interagenti sradicate dal contesto presente e generate da archetipi concettuali, e poi penso che si sbagliavano di grosso, in fondo sono un post-strutturalista, perché è vero che le forme-pensiero e le loro dinamiche preesistono all’esperienza, ma solo dentro il vissuto reale e presente tutto assume la sua forma specifica, il suo sapore, il suo colore, la sua qualità affettiva, è il contesto che li genera, è il contesto nel momento che ci definisce.

E questo mi ricorda ancora una volta perché organizzo le psico-gite: per vedere la vita vera, senza maschere, senza lasciapassare, sempre esposta al rischio, fragile e resistente, traboccante di emozioni, espressa da persone che credono di avere limiti intrinseci di spazi percorribili, di tempi disponibili, di energie spendibili, di persone frequentabili, di emozioni esprimibili, e poi li superano tutti, perché il concetto di limite appartiene al pensiero e non alla realtà degli umani che, se lo vogliono, se lo accettano, scoprono di essere sempre in evoluzione. A questa crescita perpetua, quando posso, mi piace dare una piccola spinta, per riceverla di ritorno io stesso, perché è proprio vero che la felicità è tale solo quando è condivisa.

Credendo, vides!

Andrea