Così lontani, così vicini.

Dopo avervi detto che la nostra mente, eccezion fatta per i fattori ereditari, per effetto dell’interazione fra i sistemi congeniti specie-specifici (bisogni innati e processi cognitivi) e le relazioni con le altre persone che si accumulano nel corso della vita, produce le idee o rappresentazioni centrali su noi stessi (il concetto di Io che illumina il processo della coscienza, la nostra personalità e le declinazioni della nostra intelligenza che orientano il soddisfacimento dei bisogni innati, la narrazione continua della nostra biografia che sostiene l’autocoscienza), sugli altri, sul mondo, sul futuro, sulla vita e sull'aldilà, è arrivato il momento di introdurre questa famigerata ereditarietà!
Prima però due chiarimenti.
In primo luogo, la nostra mente, per processi e categorie di contenuti, è identica a quella degli altri animali, sebbene diversa dalla loro per complessità e profondità degli stessi. Tanto più un animale si avvicina a noi, sia come classe (i mammiferi), sia perché come individuo vive insieme a noi (il nostro animale da compagnia), quanto più vive le nostre stesse esperienze interiori, dalla coscienza alla consapevolezza, alle emozioni, ai sentimenti, ai ricordi, ai sogni, ai desideri, ecc. Ovviamente, ribadisco, c’è una sostanziale differenza qualitativa e quantitativa nei vissuti animali rispetto a quelli umani, ma tutti gli studi contemporanei di etologia cognitiva vanno in questa direzione, ovvero affermano che, al loro livello, gli animali gioiscono e soffrono, si riconoscono e si amano, creano legami fra specie differenti e hanno una loro forma di “cultura”, ed hanno anche parecchie nevrosi! Noi come loro cresciamo come individui a seconda della complessità degli stimoli che riceviamo e della ricchezza e della stabilità della rete di relazioni che ci circonda; infatti, gli animali che hanno una vita sociale articolata, ad esempio scimpanzé, elefanti e pappagalli, hanno una mente più vasta e vissuti individualistici più evidenti… Purtroppo, a noi piace considerarli “diversi” perché il loro linguaggio lo comprendiamo poco o nulla, e dunque speculiamo che non abbiano esperienze interiori simili alle nostre perché non le esprimono con i nostri codici (che bella la prospettiva umano-centrica ed Io-centrica, eh?), e poi perché, se sono differenti, possiamo ammazzarli e mangiarceli senza troppi sensi di colpa. Ricordo a tutti che i Conquistadores spagnoli si divertivano a trucidare in modo orrendo gli Indios proprio perché li consideravano animali senz'anima… Lev Tolstoj diceva “Se i mattatoi avessero le pareti di vetro, saremmo tutti vegetariani”, ma oggi le informazioni sono alla portata di chiunque, solo che scegliamo di non vedere e non sentire, di non sapere. Io purtroppo so, ma ancora non ho smesso di mangiare carne, seppure l’ho molto limitata e selezioni molto le fonti da cui proviene; questo per dirvi quanto la consapevolezza non basti da sola a cambiare le vecchie abitudini… C’è un cammino per tutti noi!
In secondo luogo, esplorando proprio il processo del cambiamento, la consapevolezza che noi siamo oggi quello che la nostra storia relazionale ha determinato, è fondamentale per operare un cambiamento positivo e raggiungere la famigerata crescita interiore. Per le leggi della psicologia cognitivo-interpersonale, dunque, essa è ottenibile solo attraverso nuove relazioni con persone che ci aprano la mente e mettano in discussione i vecchi schemi; alcuni li chiamano “maestri” (termine che io aborro poiché conosco un solo Maestro, e non è più sulla Terra da un pezzo), io le chiamo “persone interessanti”, e fra queste mi ci riconosco, come anche molti altri che conosco, fra cui ovviamente Michelangelo Drago. Nei commenti del precedente post, un membro del gruppo, Raffaella Tania Fortunato, mi scriveva che la convinzione nella propria capacità di far superare i vecchi schemi era frutto essa stessa di uno schema; come ho fatto in quella sede, glielo confermo nuovamente, ma questo non pone un problema a nessuno. Chi conosce il meccanismo di sviluppo interiore sa che è possibile sollecitare le persone a quello che Jean Piaget chiamava il processo di “accomodamento”, ovvero il superamento di vecchi schemi di pensiero in favore di nuovi, più ampi ed evoluti. Questa capacità di sollecitare gli altri è naturalmente uno schema procedurale interiorizzato, che si può pacificamente riconoscere come la qualità del buon educatore. Questi sollecita gli allievi all'assimilazione dei concetti fino a che non arrivano ad un nuovo accomodamento degli stessi, aiutando le persone che lo ascoltano a vivere dentro un'equilibrazione dinamica, ovvero l’idea piagetiana di crescita interiore!
Mi è piaciuto utilizzare per questo post una piccola variazione del titolo del noto film di Wim Wenders del 1993, “Così lontano, così vicino” (che peraltro mi è piaciuto molto), sia per indicare quanto noi siamo vicini agli altri animali, sia quanto le persone interessanti lo siano a quelle ordinarie (sebbene a tanti piaccia immaginarsi/li santoni o modelli di virtù), ma soprattutto per introdurre il concetto di ereditarietà espresso nella seconda parte della presentazione fatta per il mio barista, Alberto, che allego in questo post. Chi la vedrà, capirà.
Buona lettura e buon pomeriggio di mare/montagna/vacanza/lavoro/vacuità a tutti voi,
Andrea